Che cos’è la musica leggera (una volta si chiamava così). Quella che suonano a Sanremo? Quella che suoniamo noi in radio? Quella che “pompano” le major? Quella ascoltata su Spotify (soprattutto dai ragazzini)?
Il 60% dei (presunti) voti da casa alla “non-musica” di un “non artista” come Geolier va spiegato in qualche modo, almeno per (esagerando un pò) capire come vanno le cose oggi intorno a noi.
Geolier, pseudonimo di Emanuele Palumbo, è un rapper italiano nato a Napoli. Rivendica orgogliosamente le proprie origini cantando esclusivamente in dialetto stretto.
Geolier fa parte della scuderia della multinazionale dello spettacolo Warner.
Cos’è il rap? E’ un genere musicale nato durante gli anni settanta in America: l’artista canta sopra una base o un accompagnamento musicale dal ritmo sincopato ed uniforme e presenta «rima, discorso ritmico e linguaggio di strada» (definizione di Wikipedia). La trap è la versione italiana (o almeno quella più in voga, al momento, da noi) che fonde il rap con l’hip hop (ma ora la cosa si complicherebbe e passo oltre).
Leggendo le riviste specializzate, ma i nostri figli lo sanno bene, i trapper più famosi riescono a cantare di un riscatto sociale che passa attraverso il condurre una vita agiata immersa nel lusso sfrenato. I nuovi testi si incentrano su vite al limite di rapine, aggressioni, faide.
E’ presumibile che la maggior parte dei nostri adolescenti ami questi argomenti? Forse sì.
E’ normale, dunque, far suonare a Sanremo, con un’orchestra, la trap? No. Non per discriminazione culturale ma perché il Festival è nato negli anni ’50, è sopravvissuto a stento negli anni ’70, ’80 e ’90, rinascendo come evento televisivo, anzi mediatico a tutto tondo, negli anni 2000.
Per esistere ancora non può essere vinto da Geolier. E non c’entra il razzismo verso Napoli o il razzismo culturale verso il sottogenere trap (sottogenere perché deriva dal rap, non mi si fraintenda).
Va anche detto che il brano del giovane napoletano esprime un pop mascherato da trap o una trap mascherata da pop, con venature neo melodiche (Geolier ha tanti sostenitori tra gli amanti del genere, soprattutto perché canta in napoletano). Ma non è bastato, forse perché bisognava vendicare l'”onta” del declassamento al secondo posto della figlia d’arte nella serata delle cover, a seguito, per noi “anziani”, di una performance emozionante ma che, evidentemente, non ha scaldato i cuori dei più giovani, forse nemmeno sintonizzati ma votanti “a prescindere”.
Accanto alla trap, i giovanissimi ascoltano anche altro? Sì. Anche perché non si può generalizzare troppo.
Ascoltano anche proprio Angelina Mango, per esempio (sempre della Warner, attenzione). Così come ascoltavano Sangiovanni (finito quasi ultimo in classifica). Magari scaricheranno anche lei (in senso negativo si intende, perché nell’altro sarebbe oggi un successo) tra un paio d’anni. Maggiore fidelizzazione pare, invece, caratterizzare i fan dei trapper, almeno di alcuni.
E andiamo alla radio: abbiamo rinunciato (o quasi) al pubblico giovane, o almeno ad una fetta di esso. Geolier lo abbiamo suonato pochissimo prima di Sanremo. Lo suoneremo un po’ di più dopo ma i nostri ascoltatori vogliono altro. E glielo daremo. Anche perché gli adulti sono la maggioranza nel Paese e la quasi totalità degli ascoltatori radiofonici (vivaddio). Non l’acquistano, perché danno la carta di credito ai figli, ma anche loro avranno diritto ad ascoltare musica e ad assistere a Sanremo, o no? E qui, torniamo al Festival, appunto.
Alla luce del complesso quadro che ho dipinto, velocemente e parzialmente, sull’onda delle emozioni vissute negli ultimi giorni, per comprendere il futuro della maggiore kermesse italiana (tra quelle canore e non), la domanda nasce spontanea: che futuro avrà Sanremo?
Vedremo un giorno sfidarsi solo tanti Geolier?
No. Piuttosto, io credo, morirà Sanremo. Sicuramente morirà il Festival così come lo abbiamo sempre inteso e, quindi, non avrà più senso di esistere.
Oppure, al contrario, si spegnerà il fenomeno trap o almeno si ridimensionerà, facendoci dimenticare che, per una notte, l’Italia delle note ha rischiato il Golpe musicale, respinto dal cervellotico meccanismo di voto, in cui (guarda caso) le radio hanno capeggiato la “resistenza”.
E ora, tutti a fare il toto-nomi per il prossimo direttore artistico.
Suggerisco Gigi D’Alessio. Ad Maiora!
Giovanni Pirrotta