Reggio Calabria – In un clima fatto di «minacce» e «sperimentazione fraudolenta» si è generata l’indagine che ha visto il reparto di oncologia del Grande Ospedale Metropolitano «gestito come fosse cosa loro» dall’ex primario Pierpaolo Correale e dal suo vice Rocco Giannicola. Le osservazioni del Gip sono chiare.
Le osservazioni del Gip
La domanda cautelare valutata dal Gip, infatti, è frutto delle articolate indagini svolte dai Nas su alcune «condotte delittuose. Indicative di una gestione gravemente illecita, superficiale e non ortodossa delle funzioni pubbliche connesse all’esercizio della professione medica da parte dei principali indagati, primario e viceprimario.
Una strumentalizzazione delle risorse pubbliche rispetto al perseguimento di interessi privati. Unitamente ad un’applicazione ondivaga e discrezionale dei protocolli terapeutici, in modo tale da mettere a rischio la salute dei pazienti ivi ricoverati».
L’origine delle indagine
Tutto ha avuto origine dalla denuncia in Procura di uno dei medici del reparto. Il professionista che ha dichiarato come «I dottori che non sono d’accordo a somministrare le terapie indicate da Correale vengono minacciati.
La “sperimentazione fraudolenta” viene eseguita su tutti i pazienti. Ci sono stati pazienti, ormai moribondi, ai quali viene comunque somministrata la chemioterapia, senza alcuna utilità anzi è controproducente tanto da portare alla morte per tossicità». Il medico che ha deciso di sporgere denuncia dando avvio alle indagini ha, inoltre, ribadito che «Vi è un uso costante di sperimentazioni fraudolente e di farmaci non previsti.
Inizialmente solo il Giannicola copriva il Correale, mentre altri medici, solo dopo minacce o nella speranza di gratificazioni, hanno ceduto alle pratiche del primario. Le minacce consistevano in licenziamenti e trasferimenti. Correale diceva di essere molto vicino al Dott. Benedetto, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera».
La denuncia
Il quadro emerso dalle dichiarazioni del medico che ha deciso di denunciare le «anomalie» del reparto dopo averne costatate nella cartella clinica di un paziente, ha dato agli inquirenti il via per approfondire. Dichiarazioni che, va ribadito, dovranno trovare puntuale riscontro in un eventuale processo. Le accuse sono di somministrazione di farmaci imperfetti, falsità materiale e ideologica, abuso d’ufficio e truffa. La gip Karin Catalano ha disposto la misura cautelare su richiesta della Procura di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri.
Gli indagati
Gli indagati sono sette. Infatti, oltre all’ex primario e al suo vice, sono accusati la direttrice della farmacia dell’ospedale Maria Altomonte e il responsabile dell’Unità farmaci antiblastici Antonio Nesci per falso. Il dirigente medico di Oncologia Domenico Azzarello, il presidente dell’associazione “Arco” Francesco Provenzano e la psicologa Mariangela Polifrone, collaboratrice del reparto per truffa aggravata.
Dall’attività investigativa iniziata nel 2021 i carabinieri hanno avuto modo di raccogliere intercettazioni telefoniche e ambientali. Ma anche verbali di diversi testimoni e sequestrato e analizzato oltre trecento cartelle cliniche.
«Disegno criminoso»
I reati in oggetto di contestazione, tra cui l’omicidio colposo per il quale, però, il Gip non ha ritenuto sussistessero gravi indizi di colpevolezza per portare alla misura cautelare, sono per gli inquirenti «riconducibili ad un medesimo disegno criminoso. Ideato dal Correale e da Giannicola, il cui fulcro può ravvisarsi nel perseguimento, da parte di entrambi di un accrescimento del peso dello loro figure di medici e professionisti e di un accreditamento nel panorama scientifico. Tramite pubblicazioni, organizzazione di convegni scientifici e partecipazione agli stessi, con i conseguenti vantaggi economici di cui si dirà.
Obiettivo il cui perseguimento è avvenuto spesso in dispregio delle normative di settore. Nonché delle linee guida terapeutiche applicabili ai singoli casi trattati, per favorire, di contro, l’attuazione di protocolli terapeutici di loro elaborazione, oggetto dell’interesse scientifico contingente dei due».
«Una cosa di loro proprietà»
Il Gip ha osservato come «le risultanze delle attività d’indagine hanno fatto emergere come i due indagati gestiscano il reparto, salvo le limitazioni oggi imposte dai procedimenti disciplinari a loro carico, come una cosa di loro proprietà.
All’interno del quale attuare protocolli terapeutici sostanzialmente sperimentali, in assenza delle necessarie autorizzazioni. Con una monopolizzazione, rispetto agli altri dirigenti medici, di alcune terapie, in particolare quelle c. d. innovative. E con la marginalizzazione dei colleghi che rispetto alle loro scelte terapeutiche hanno osato esprimere dissenso. Nonché con forme di ricatto nei confronti dei colleghi privi di posizioni lavorative stabili».
Fonte: Il Reggino.it