Nell’era dei social, dici “cibo” e la mente viaggia verso post e food blogger, foto da scattare a tavola e reels di ristoranti da condividere. Eppure non c’è niente di più analogico: l’esperienza sensoriale potrai raccontarla a suon di immagini, metafore e giochi di parole per riuscire a rendere un profumo, una consistenza, un sapore, ma solo davanti ad un piatto e una forchetta diventerà reale. Diventerà esperienza. Anche se è vero che certi video e certe foto sono da acquolina in bocca, realizzati talmente bene che sembra di pregustarne la succulenza. È l’effetto “foodporn” che oggi associamo a nickname o ad hashtag usati per mandare virali i contenuti o, più in generale, alla sovraesposizione mediatica del “food” e invece è un concetto decisamente più datato.
Fu Roland Barthes, semiologo e critico letterario, negli anni Cinquanta ad accorgersi dell’impatto che le immagini relative al cibo avessero sul pubblico: «È ciò che offre fantasie a coloro che non possono permettersi di cucinare certi pasti». Qualcosa che ha a che fare un po’ con il voyerismo, in fondo, con il vagamente proibito e perciò, a volte, ancor più desiderabile. Da qui la licenza “porn” per declinare pure la gastronomia. Oggi, invece, è più associato alle pietanze “too much”, quelle da sprofondarci dentro fino alle tempie e lasciare che l’unto ti scivoli lungo i gomiti. Come gli hamburger a sei piani ripieni di bacon, provola filante, cheddar a cascata, fiumi di maionese e salsa barbecue come se non ci fosse un domani, per intenderci.
La cucina calabrese, si sa, non è famosa per brodi vegetali e carni bianche. Se dovessimo schierarla nel team foodporn o light-vegan vincerebbe la prima squadra a mani basse. E vince mettendo in campo la succulenza, quella sensazione tattile che deriva dalla presenza di liquidi nel cavo orale (così si definisce tecnicamente durante una degustazione) che possono provenire dal cibo o essere indotti dal cibo (e quindi è chi mangia o beve che inizia a salivare) durante la masticazione o dopo la deglutizione. La prossima volta che mangerai un pecorino stagionato, un buon crotonese, tanto per restare in zona, fai caso a cosa succede in bocca anche dopo aver finito abbondantemente di ingoiare.
Lo dice un’indagine (non solo noi!): la Calabria è nella top 100 delle regioni in cui si mangia meglio al mondo. Lo ha stabilito TasteAtlas, l’Atlante mondiale del Gusto che viaggia attraverso i continenti alla ricerca delle specialità che rendono unici certi luoghi e poi stila una lista di prodotti regionali e prodotti tipici. Quella dei piatti è particolarmente lunga ma non possiamo non citarne alcuni: maccu, pan di Spagna di Dipignano, lagane e ceci, zippuli, crema reggina, porcini impanati, gelato al torrone, ginetti, morzello, parmigiana, pasta e alici, tartufo di Pizzo. Ti è venuta fame? Allora prendi un respiro e leggi tutto d’un fiato i prodotti regionali, fiore all’occhiello della nostra gastronomia: ‘nduja (la regina piccante è citata in pole position), caciocavallo silano, olio di Calabria, soppressata, cipolla rossa di Tropea, Leucocarpa, pecorino crotonese, cacioricotta, butirro, olio di Lamezia, fichi di Cosenza, patate della Sila, sardella, liquirizia di Calabria, clementine, pancetta, olio alto crotonese, capocollo di Calabria , torrone di Bagnara, limone di Rocca Imperiale. Insomma, in un mondo più “buono” sarebbe il paniere perfetto. Anzi: il carrello della spesa dei sogni. Provare per credere. D’altronde, la scoperta di un territorio passa anche attraverso la cultura enogastronomica. Quel “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” che a volte sa tanto di test da fare in spiaggia, in realtà è una grande verità sociologica perché poche cose come il cibo hanno il potere di raccontare una storia, una tradizione, un popolo senza bisogno di parlare.
Una delle guide di viaggio ed enogastronomiche più importanti del mondo consacra la Calabria nell’Olimpo delle 100 regioni del mondo, il nostro palato lo conferma.
Sconfinando nel mondo digitale, invece, c’è chi non si spinge e resta diplomatico. Ho interrogato l’Intelligenza Artificiale chiedendo in quale posto in Italia si mangia meglio. Risposta? “Ogni regione ha le sue specialità culinarie e i suoi piatti tipici, che rispecchiano la storia, la cultura e le tradizioni locali”. IA non si sbilancia e resta neutrale. Sarà che non ha mai visto lacrimare di cioccolato il cuore di un tartufo di Pizzo quando affondi un cucchiaino e non ha mai pianto affettando sua maestà, la cipolla di Tropea. Perché la tecnologia potrà fare pure passi da gigante e arrivare lontano ma a noi basta restare a casa per vivere l’emozione più grande. Io mangio calabrese, e tu?
Fonte: Meraviglie di Calabria